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Il significato intuitivo della negazione

L'intuizione contempla l'Assoluto, essa è la vera sintesi di tutti gli opposti, essa li assorbe tutti, li comprende in sè, li esperimenta ed organizza. Essa significa «< il rinascimento intellettuale e morale dell'uomo », il vero inizio assoluto di una nuova serie di atti causali, inizio che aggiunge nuove prospettive di vita, le quali possono sorgere nei momenti di più profonde crisi vitali, di epoche di riflessione su tutta la vita intellettuale e morale di un dato individuo, il quale trova la vera forma ed espressione della propria attività spirituale. Si riflette sull'esperienza assoluta tenuta finora, che si concentra in un punto unico, il quale indica i confini fra il passato ed il futuro e nel quale il filosofo, eroe teorico e pratico, vede sotto nuova prospettiva tutta l'opera della sua vita. Ci sono nella vita periodi di grandi disillusioni, che diventano uno stadio transitorio verso la conquista di più grandi gioie vitali. Nell'intuizione ci apparisce il nostro proprio spirito in modo tutto suo particolare, in essa trova il suo vero e individuale metodo di vita. È una specie di ingenuo primitivismo, una specie di liberazione da tutti i precedenti pregiudizi sociali di cui quell'individuo ha vissuto finora, liberazione che va fino alle radici del suo proprio essere.

Fichte nel suo intuito intellettuale » distingue, come organi del misterioso atto dell'auto-coscienza e dell'auto-riflessione, due strati: uno oscuro di sentimento e d'instinto costantemente produttivo, costantemente, benchè incoscientemente, conoscente e spinto sempre in avanti, e l'altro: chiaro, strato razionale della riflessione, il quale proietta la sua luce sul primo strato e ritornando a questo se ne impossessa. Il momento dell'autocoscienza sorge proprio allorchè riflettiamo a quell'oscuro e incosciente strato di sentimento e d'istinto, allorchè volgiamo uno sguardo su tutta la nostra precedente esperienza, su tutta la nostra precedente storia della coscienza, la quale si condensa in un unico « concetto >> universale eppur tuttavia concreto, il quale riflette «< intuitivamente» tutta questa esperienza. Così parla Fichte nella sua «Teoria della scienza» dell'anno 1801:

Tutto, il sapere è intuizione. La teoria della scienza non è una quantità di cognizioni, bensì un'unica ed indivisibile visione. L'intuizione stessa è sapere assoluto. La teoria della scienza non può essere confutata da un essere ragionevole, tutt'al più può succedere che qualcuno non ne raggiunga il possesso. E' solamente una forma di sapere di tutti gli oggetti possibili. A rigor di termini, noi non lo possediamo, ma ne siamo posseduti, e nessuno lo possiede se prima non s'immedesima in esso. E' qualche cosa di molto facile, di molto evidente. L'unità di questa intuizione stessa non è la semplicità assoluta, nè l'ultimo elemento, atomo, monade, bensì unità organica, fusione della varietà nella unità, affluenza dell'unità nella varietà. La teoria della scienza è solamente e propriamente quell'indivisibile visione che fu elevata successivamente e graduatamente alla chiarezza in generale ». Qui Fichte si pone dal punto di vista dell'intuizione come istinto intellettualizzato, come quella parte della natura umana, col cui mezzo esso si connette a tutta la natura la cui coscienza, e nel tempo incoscienza, indicano la rivelazione del più profondo mistero della natura, del mistero del nostro lo, che finora a nessuno era riuscito di svelare. L'istinto e la conoscenza si identificano almeno per un momento nell'intuizione, l'istinto diviene oggetto della nostra conoscenza, la cui novità è conquistata dall'istinto stesso: siamo contemporaneamente volontà incosciente, che è all'inizio della sua propria comprensione e vediamo contemporaneamente tutti i sillogismi coscienti che abbiamo compiuti nel corso della nostra vita.

Similmente comprende lo scopo dell'intuizione nella conoscenza il fedele scolaro dei romantici tedeschi, Enrico Bergson, il quale pure vede in essa l'identità del soggetto e dell'oggetto, o per dir meglio la duplicazione del soggetto nella propria autocoscienza. Inutilmente gli obietta Giulio Benda, critico del Bergsonismo, che non è possibile che l'innamorato Romeo sia nello stesso tempo il poeta Shakespeare, e che sappia contemporaneamente formulare ed esprimere i suoi più profondi sentimenti e stati d'animo. Abbiamo esempi nella vita dei grandi scienziati e riformatori (Galilei, Copernico, Newton, Helmholz, Socrate, Platone, Lutero, Huss) i quali agirono del tutto incoscientemente nei momenti più critici della loro vita, ed ai quali restava solo l'incerto presentimento, che, per la loro opinione dovevano arrischiare la loro vita, se volevano realizzare la loro intuizione. Anche Kant inclina a considerare almeno l'artista geniale qualche cosa di più che un semplice esemplare della specie, anzi una

specie a sè dell'intelletto, una coscienza nel suo intimo. Egli chiama il genio anche intelligenza che agisce come natura», cioè in modo del tutto naturale istintivo e incosciente, nel quale l'intelletto infinitamente esteso si sposa colla passione infinitamente profonda, la quale dà a se stessa le proprie leggi.

Il genio, almeno nella sua forma artistica, agisce in modo incosciente, naturale, necessario, crea così come deve creare, nello stesso modo come una pietra deve cadere secondo le leggi fisiche. Perciò dice giustamente Fichte, nella suindicata descrizione dell'intuizione, che questa non può mai divenire nostra proprietà assoluta, che noi non la possediamo << ma che essa possiede noi », come il fato della nostra vita ci comanda e come colla riflessione abbiamo rivelato questo nostro destino individuale. Al contrario Kant non vuole riconoscere alla scienza il fatto dell'intuizione, essa è per lui troppo labile e troppo fantastica. Secondo lui, nelle opere di Newton non c'è niente che non possa essere compreso dal più comune intelletto umano, però gradatamente e quantitativamente più adagio. Lo scienziato è solo << una grande testa >> ma non mai un Genio che possa lavorare per mezzo dell'intuizione. Tuttavia noi dobbiamo rivendicare questo, poichè questa rivendicazione va sempre più facendosi strada specialmente nell'epoca moderna. La fantasia, e precisamente la fantasia esatta è necessaria tanto allo scienziato, quanto all' artista. Così, per esempio, scrive Mittag-Leffler del genio inventivo di Sonja Kowalevska. Anche la matematica esige più di altre scienze, da quelli che sono scelti a estendere il suo dominio con nuove scoperte, una grande immaginazione. La chiarezza stessa del pensiero non ha mai prodotto scoperte. Simile è il giudizio di Tyndall sul celebre fisico Faraday. «Faraday vide chiaramente il gioco degli atomi, fluidi ed etere, senza poterli risolvere nei loro principi e darne una descrizione chiara e sufficiente per la meccanica. Però nella profonda oscurità rifulge improvvisa una luce e questa è una rivelazione, alla quale non partecipa la ragione » (citato in Bernhard: Éloges académiques - Nouvelle série). Noi potremmo moltiplicare questi esempi prendendoli dal ramo pratico: un duce geniale od un negoziante può comprendere in un unico sguardo di chiara visione intuitiva, tutto il numero infinito dei fatti aderenti alla situazione decisiva (militare o commerciale), racchiuderli in un'unica, immediata e diretta conclusione, che egli vede chiaramente dinanzi a sè, ed il cui successo gli porta vantaggi vitali, sicuri e pratici.

L'intuizione significa dunque una totalità della vita spirituale 1° semicosciente, 2° organica, la quale comprende in un unico sguardoazione tutta la preesistente evoluzione intellettuale, affettiva e volitiva dell'individuo. Non la si può definire con nessuna astrazione, non si può trovare per essa nessun concetto unilaterale. Non è definibile nel senso della definizione razionale della matematica e della fisica e la sua inintelligibilità non significa altro che la negazione del preesistente modo di concepire. Si tratta in questo caso di disposizioni puramente istintive, esprimibili solo da questa intuizione irrazionale. In questo senso non deve avere significato soprannaturale o mistico. Ogni sintesi degli opposti, ogni comprensione dei contrasti intellettuali e morali è un fulmineo atto intuitivo. Il giurista ed il pedagogista sono parimenti dipendenti da esso, devono essere egualmente analizzatori acuti del pensiero ed abili sintetizzatori. Sono pure soggetti a frequenti errori, i quali caratterizzano ogni cognizione di qualche cosa di nuovo e di sconosciuto. Che è dunque il criterio della nostra conoscenza, di quel limite, di quell'ideale che, secondo l'affermazione dei positivisti, è tanto infinitamente lontano da noi, che questo infinito si petrifica addirittura nell' Inconoscibile? Che legame c'è fra la conoscenza ed il suo oggetto, fra il noto e l'ignoto? Non è forse oltrepassabile quell'ideale limite infinito della nostra conoscenza? Ci è possibile cercare l'ignoto? Fu un errore del positivismo l'aver reso assoluto questo limite della conoscenza, davanti al quale s'arrestò, e l'aver dimenticato che è possibile comprenderlo « funzionalmente ». È bensì vero che il nostro istinto conoscitivo, la nostra tendenza verso la conoscenza è infinita, e che è possibile estendere infinitamente gli oggetti della conoscenza. Quantunque la via verso il perfetto sapere umano sia infinita, quantunque il sapere assoluto sia irraggiungibile, tuttavia dobbiamo sempre essere coscienti, che quel limite ideale, quella meta della conoscenza che ci siamo imposta noi stessi, che la scoperta di nuovi oggetti scientifici e la soluzione di nuove situazioni sociali, sono opere dell'intelletto puramente umano. E qui ci aiuta la nostra fantasia, la quale, coll'aiuto della comparazione, delle metafore e dei contrasti, ci avvicina questo ignoto, vi afferra almeno un punto, col cui mezzo lo attrae nella sfera del noto. Anche i più alti concetti scientifici non sono niente altro che analogie simili alle analogie poetiche. Se la scienza naturale compara la più piccola parte dell'organismo umano «< cellula » cogli scompartimenti degli alveari, la << forza ed il << moto >> meccanico colla forza e col moto che co

nosciamo nel nostro proprio corpo, e se il Bergson si rappresenta persino il più alto slancio creatore della natura, come espressione della volontà umana, come moto del braccio umano, ciò ci prova solo che anche la scienza più rigida non può evitare il pensiero metaforico, analogico.

L'intuizione dunque contiene il significato teorico-pratico della negazione, ci mostra la sua funzione ai suoi confini fra il soggetto e l'oggetto, fra la natura esteriore e la nostra essenza spirituale. Ci svela la continua lotta fra il « soggetto » noto e ignoto, cosciente e incosciente, quel continuo avvicinarsi di ambedue, l'amicizia e inimicizia di questi due importantissimi punti finali ed iniziali della conoscenza umana. L'intuizione ha una grande importanza là, dove si tratta di conoscere ed avvicinarsi a ciò che apparentemente ci è più vicino, ma che la conoscenza convenzionale e sociale completamente ci copre: nella conoscenza della nostra propria personalità, nella conoscenza dei rapporti qualitativi dei singoli individui, i quali non sono già semplici monadi nè atomi fisici. Finora non abbiamo espressioni esatte che possano determinare unilateralmente questo rapporto qualitativo dei due soggetti. Tutte le teorie della volontà umana, parte più caratteristica dello spirito umano, finiscono finora solo negativamente. Forse si trova in migliori condizioni la musica, la quale colla sua indivisibilità, col suo crescere organico e col suo grandioso slancio s'avvicina a ciò che noi chiamiamo simpatia umana. In essa sparisce ogni convenzionalità, in essa ci liberiamo della zavorra delle lingue e ci avviciniamo più intimamente al nostro prossimo col quale ci possiamo meglio identificare per mezzo dell' espressione musicale. Perciò appunto i moderni filosofi del tipo di Faust, cercavano nella musica l'espressione dell'essere primitivo del mondo (Schopenhauer e i suoi scolari).

Così sale il significato della negazione dalla pura funzione della logica formale, alla sfera morale e trapassa nel campo intuitivo religioso e della filosofia della storia. Non è già pura denegazione d'un carattere, d'un oggetto, pura diminuzione dell' estensione d'un concetto. La negazione fa parte dei valori del sentimento e della volontà, e riacquista il suo significato primario. La negazione ha lo stesso grado di verità e di certezza come l'affermazione. La parola negativa « no » può avere tutte le sfumature e la forza della convinzione dal dubbio semplice « forse non è così fino alla certezza assoluta ed alla totale proibizione «non deve essere così ».

Non sono forse esistite nella storia del pensiero umano, negazioni

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