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todi diversi, creazioni dell'intelligenza, del sentimento, della volontà umani, e dove è creazione spirituale è naturalmente «< valore ». Da questa essenziale caratteristica discende una netta linea di distinzione da tutte quelle scienze che hanno invece per oggetto i prodotti spontanei della natura. Le << scienze dei valori » coinciderebbero adunque colle scienze della coltura >> (come son chiamate dal Rickert e dal Windelband), qualora esse non solo comprendessero la psicologia, ma, dato il suo alto valore speculativo, le riconoscessero una particolare e cospicua posizione nel quadro generale del sapere. Essa infatti non solo abbraccia coi suoi principii generali tutto quanto il vastissimo dominio delle creazioni spirituali della civiltà umana, ma protende le sue ramificazioni su tutta l'attività speculativa del pensiero, e per di più, mediante lo studio della psiche animale, profonda le sue radici nella natura subumana. Appare, quindi, come il vero anello di congiunzione tra la natura e lo spirito, il che le conferisce un altro e sovrano segno del suo carattere speculativo.

Ma se le scienze dello spirito non posson, per il loro più circoscritto dominio e per la minor generalità dei problemi discussi, pretendere allo stesso valore speculativo e se in esse la parte di sapere positivo è necessariamente assai più ampia, non par tuttavia possibile ridurle allo stesso livello delle scienze della natura, ad eguale distanza dalle discipline filosofiche. La diversità dei loro oggetti deve necessariamente costituire il fondamentale criterio di distinzione, chè se noi ci atteniamo invece al criterio del metodo, possiamo giungere ai più singolari e paradossali aggruppamenti scientifici. Così, ad es., il metodo sperimentale, mentre è applicabile alla chimica e alla fisiologia, come pure (almeno teoricamente) alla politica e al diritto, non lo è invece alla storia e alla astronomia. Dovremmo quindi metter in un solo gruppo di scienze chimica, fisiologia, diritto, e in un altro storia ed astronomia!

Se noi dobbiam quindi seguire, come unica e sicura guida di razionale classificazione, la natura degli oggetti, non possiamo non dare la dovuta importanza a quel criterio di « scelta» che, giustamente messo in forte rilievo dalla filosofia dei valori, nettamente distingue le scienze della coltura da quelle della natura. La scelta dipende dall' apprezzamento, dalla valutazione; è la ragion d'essere del « valore». Ora se la filosofia viene essenzialmente intesa come scienza dei valori, e se le scienze dello spirito considerano esse medesime dei valori, sia pur trattati con diverso metodo, è ben naturale che, per evitare la contraddizione, oc

corra riconoscere in quelle discipline un grado speculativo assai supeperiore all'ordine di studii aventi per oggetto la natura inanimata, interamente libera, secondo la concisa espressione del Münsterberg, da valori. Partendo da questa base naturale, lo spirito ascende gradatamente la scala dei valori fino alle sue più splendide e più veramente umane manifestazioni. Se tra questi valori figurano quelli conoscitivi (ed è questo un punto su cui particolarmente si insiste) (1), ciò non deve indurre nell'equivoco di scambiare l'attività valutatrice della conoscenza col suo oggetto, che rimane ben distinto nelle sue due forme, materiale e spirituale.

Negar quindi alle scienze dello spirito (mi si consenta di insistere su questo punto) il cui oggetto sono le creazioni del soggetto stesso conoscente e operante, un particolare carattere che assai più delle scienze della natura si accosta alle forme della considerazione speculativa, non pare possibile, poichè a questo scopo non può bastare quella distinzione che si è voluta istituire tra le scienze che considerano i valori nella loro realtà oggettiva, e le altre che li considerano invece secondo un apprezzamento soggettivo, inchiudendo tra i primi i valori conoscitivi e tra i secondi quelli etici, o estetici o religiosi. La distinzione è troppo sottile per poter resistere alla critica suscitata dalla medesima tendenza che si esprime in quella stessa filosofia dei valori, la quale agitò per prima nella coltura contemporanea questi problemi, cercando di scuotere la soggezione di un eccessivo senso realistico della vita. Dove vi è valore vi è scelta, e quindi apprezzamento, e la differenza tra i valori non è più essenziale, ma di grado (1). Onde le scienze dei valori, siano esse particolari, come quelle che studiano nei loro separati dominii le creazioni

(1) Ad es. dal Rickert, System der Philosophie, I, p, 27 «Auch der theoretische << Mensch wertet, egli dice, denn die Wahrheit ist ein Wert, und indem er sich erkennend << in ihren Dienst stellt, erkennt er sie zugleich als Wert an».

(1) Richiamandoci al già citato esempio del Rickert (Kulturw. und Naturw. p. 101), sulla diversità di valore attribuibile alla Rivoluzione francese a seconda che trattisi di giudicare o se sia stata un fatto importante, oppure abbia giovato alla Francia e all'Europa; si può osservare che tanto l'uno quanto l'altro son giudizi di valore, in quanto anche il giudizio sull'importanza di quell'avvenimento implica una preferenza, un maggior rilievo di un fatto in confronto di un altro e quindi una scelta. La distinzione del Rickert, tra Wertung e theoretische Beziehung auf Werte è estremamente sottile e non tale da poter in essa fondare una distinzione fondamentale tra due ordini del sapere.

spirituali dell'uomo, siano esse speculative, come quelle che sinteticamente le considerano nei loro principii generali e fondamentali, stanno pel loro oggetto in netta contrapposizione alle altre a cui non si può riconoscere questo carattere. Un felice intuito delle razze latine ed anglosassoni lo aveva sempre veduto, riluttanti come sempre furono ad accettare quella denominazione di scienze dello spirito nella quale si celava una non dubbia intenzione di costringerle entro stampi che alla loro intima natura ripugnano, e tenendosi invece fedeli alla classica, umanistica espressione di scienze morali » (1).

GUIDO VILLA

R. Università di Pavia

Il problema conoscitivo e il teismo moderno.

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A quel fremito d'intimo rinnovamento onde è commosso oggi il grande albero del sapere umano dalle ime sue radici ai sommi vertici dalla geometria degli iperspazi e dalla teoria fisico-matematica della relatività Einsteiniana fino alla filosofia civile del Simmel, del Pareto o dello Spengler risponde e s'accompagna tutto il vasto ed angoscioso lavorio di ricostruzione civile che, specialmente dopo la grande guerra, corre da un capo all'altro del mondo. L'una e l'altra di queste due opere, il rinnovamento della scienza e il rinnovamento della vita, s'incontrano idealmente in quella, più veramente che disciplina costituita, attitudine e funzione dello spirito, la quale abbraccia insieme il pensiero e la vita; perchè ivi lo spirito non si trova più riflesso o rifratto in manifestazioni o forme particolari, ma si mette, in piena consapevolezza, al cospetto di sè medesimo, e di sè fa il soggetto centrale della sua disamina. Poichè è vero che in qualsiasi ordine di attività, teoretica e pratica, lo spirito, in fondo, ha soltanto che fare con sè: e la natura esterna,

(1) Un magnifico esempio di questo senso << umanistico » delle scienze morali ci è dato in Italia dagli scritti di Benedetto Croce e di Alessandro Chiappelli in cui la serenità del metodo scientifico è costantemente dominata da una profonda coscienza della «spiritualità immanente nelle creazioni umane.

in quanto è conoscibile e conosciuta, e la storia in quanto è da noi operata, non cadono al di fuori della sfera spirituale, e nello spirito trovano il segreto, questa del suo essere, quella del suo apparire. Ma nel pensiero filosofico è lo spirito che parla a se stesso e non per interposta persona. Se, dunque, la filosofia, in quanto si presenta come filosofia della natura, o come teoria della scienza, o in quanto è filosofia della storia e della vita morale e civile, è pur sempre filosofia dello spirito: se, dico, ella è la forma in cui (secondo il pensiero dell' Hegel) le esigenze che operano nei vari campi della cultura e della coscienza di un'epoca pervengono a chiara consapevolezza di se medesime, è lecito arguire che nel carattere e nell' atteggiamento essenziale della filosofia moderna sia da cercare il centro e il nodo vitale della crisi onde è pervaso lo spirito del nostro tempo.

Ora io, anticipando quello che a me pare debba essere il resultato della mia dimostrazione, dico, fin da ora, che mentre la forma viva della speculazione moderna è l'idealismo in generale, nel suo processo logico e storico dall'idealismo critico del Kant all'idealismo obiettivo e costruttivo dei suoi successori, in Germania, in Inghilterra, in Italia, in America, questo movimento speculativo deve metter foce in una nuova forma d'idealismo teistico; cioè passare dalla concezione astratta dell'assolutismo inglese e dell'attualismo italiano, in una forma che porti con sè il concetto d'un principio concreto e vivente, il quale sia centro della universale spiritualità. L'idealismo teistico poggia, dunque, sui due presupposti storici e ideali; l'idealismo critico come punto di partenza e l'idealismo speculativo metafisico come posizione fondamentale. E questa sintesi è una necessità storica e logica, cioè necessità organica e vitale; poichè ogni volta che l'idealismo si è trovato dinanzi la resistenza, ben legittima e persistente, del realismo gnoseologico e quindi ontologico, ha dovuto ricorrere alla sintesi teistica. Come fra l'idealismo hegeliano e il realismo herbartiano, si aprì la via il teismo sintetico del Lotze, a cui conviene oggi richiamarsi, così oggi fra l'idealismo assoluto, che va dal Green al Bradley, o fra l'idealismo umanistico dei nostri, e il realismo rinascente specialmente in alcune scuole americane e nella stessa Germania col Külpe e con altri, solo l'idea teistica può fornire la logica loro risoluzione, che il compianto Bosanquet, nell'ultimo suo libro, non seppe scorgere fra le mutue implicazioni che le tesi estreme dell' idealismo e del

realismo hanno in comune (1). E perciò nel pensiero anglo-americano odierno si è delineato, da vari decenni, un novimento teistico che va dal Fraser al Webb, dal Royce al Pringle-Pattison (2), raccolto ed espresso nella serie delle Gifford Lectures, movimento ancora alquanto inorganico, il quale aspetta chi gli dia, o tenti di dargli, organicità sistematica (3).

Al che s'aggiunge poi che solo l'idea teistica, modernamente rinnovata, e a cui accennano oggi le esigenze profonde di ogni ordine di sciena, raccoglie in sè la duplice direzione o diramazione del pensiero speculativo contemporaneo, visibile anche in Germania (4) e in Francia, di filosofia del pensiero e di filosofia della vita o dell'azione, dell'intellettualismo e dell' attivismo o irrazionalismo d'ogni specie; imperocchè solo la sintesi teistica illumina, nel parer nostro, il quesito conoscitivo, e dà insieme ragione di quel sistema dei valori nel mondo, senza cui rimane priva di guida l'azione e cieca ed oscura la vita, che pur si vuol porre al centro di ogni realità. Che se la conoscenza si vuol considerare solo in funzione di vita, poichè l'esperienza ci attesta che, invece, ella è superflua, quando non anche nociva, alla vita, la cui economia e il cui equilibrio meglio e più sicuri si affermano nelle specie inferiori, governate, come sono, da istinto perfetto, converrebbe dire che codesta perfezione dell'istinto vitale al di fuori o prima dell' Intelligenza, ci conduce per altra via ad una intelligenza universale, direttiva, immanente, che ne garantisce la perfetta rispondenza ai fini da conseguire.

Può parere bensì irragionevole che del problema conoscitivo e del problema pratico si cerchi la risoluzione in una dottrina della realtà,

(1) B. Bosanquet, The meeting of extremes in contemporary philosophy, London, 1921. Il Bosanquet crede, invece, che fra il neo-idealismo gnoseologico e il neo-realismo debba assidersi arbitra la filosofia dell'assoluta unità, come punto in cui le tesi opposte s'incontrino nelle loro necessarie reciproche concessioni.

(2) Pringle-Pattison, The idea of God in contemporary philosophy, London, 2a ed., 1920; cfr, W. Davidson, Recent theistic discussion, Edinburgh, 1921, il quale non mi pare abbia tenuto conto dell'antica e importante discussione fra i pensatori americani Royce, Howison, Le Conte, e Mezes, nel volume del Royce, The conception of God, New-York, 1898.

(3) Cfr. ora il nuovo volume di A. J. Balfour, illustre uomo di Stato, Theism and Thought (Gifford Lectures 1922-23). London, 1924.

(4) Müller-Freienfels, Philosophie des 20 Jahrhunderts, Berlin, 1923.

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