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che possa chiedersi l'origine dell'infinito? L'errore di alcuni ierografi è di aver pensato o creduto che il concetto della divinità-ch'essi naturalmente ricavano dalla loro stessa esperienza religiosa, imbevuta, volere o no, di cristianesimo, e quindi di una fra le varie formazioni religiose—sia di natura logica e semplice, direi meglio unitario nella sua essenza, mentre è il prodotto più complesso e più stranamente compositizio ed amorfo di tutte le altre formazioni religiose. All'inizio della storia religiosa e il processo, s'intende, per la sua stessa natura, sfugge all'analisi storica,-non vi è, nè vi potrebbe essere, un tentativo logico di sistemazione del mondo attraverso categorie di pensiero : la psiche primitiva non ha velleità di spiegazioni causali, ma soltanto necessità del possesso, come che sia, della natura. Le ricerche dell'odierna Etnografia e le profonde analisi della scuola sociologica hanno messo fuori dubbio questo che la religiosità non s' inizia come conoscenza del mondo, e quindi non è nella sua essenza una formazione logica del pensiero, che anzi, come tale, essa ha origini extralogiche e perciò collettive, perchè solo nella coscienza collettiva e non nella psiche individuale si potevano generare questi stati d'animo e quelle complesse formazioni psichiche, da cui è nata la religiosità. Il « Mana melanesico, l'«< arunyquiltha australiano, l' Hasina >> Malgascio, l' Orenda » algonquino, il godesc» ebraico, il « Sacer » Romano Greco, non sono di origine logico-individualista, ma sono forme alogiche, stati d'animo, frammenti di psiche collettiva. L'uomo solo, senz'altri simili, non sarebbe mai pervenuto ad alcuna concreta forma di religiosità, e meno che mai all'entificazione simbolica di Dio; quindi il processo teofanico è da ricercarsi esclusivamente attraverso la storia delle religioni, da cui soltanto è passato in Filosofia, e si è poi irradiato come problema cosmogonico. Nè vale l'obbiezione che noi oggi possiamo pervenire ad un qualsiasi concetto di Dio al di fuori dell'anima religiosa, attraverso la pura speculazione. È proprio questa possibilità ch'io contesto, poichè qualunque, e insisto sulla parola - qualunque infantamento di Dio è stato tentato nella storia filosofica, da Plotino allo Pseudo-Areopagita, da Hallagi e Gazali fino a Tommaso d'Aquino e i moderni metafisci, Green, Royce, Chiappelli, ecc. esso è sempre una risonanza, più o meno lontana di quello foggiato dall' anima religiosa; come le più alte elucubrazioni di Massimo il Confessore, il più grande discepolo e commentatore dell'Areopagita e le ingenue o ridicole misure attribuite alla Schechinà »

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(Dio) nel libro rabbinico lo « Sciur Komà » (misura di lunghezza) hanno la stessa, identica origine. Per quanto possa sembrare un paradosso, io affermo che la speculazione non ha niente che vedere con la storia di Dio, la quale è un prodotto del pensiero collettivo; e se essa, la speculazione, ha poi lavorato, ha lavorato su di un concetto già preso dalla religione, e non mai creato da lei. Se guardiamo agli inizi stessi della speculazione filosofica presso i Grec i, troviamo che il concetto, per quanto ancora molto vago ed impreciso, della divinità, è preso in prestito dalle entificazioni religiose dell'anima popolare, e non creato direttamente ex novo come un elaborato logico. Appena la speculazione tenta un'analisi metafisica, esso o si strema in un verbalismo puro, contenente nessun concreto concepimento, il Dio d' Aristotele, p. es. che non è nè creatore nè conservatore del mondo, e per dippiù è лs » o dilegua addirittura in nebbia come in Plotino, o peggio ancora, diventa il più meraviglioso mostro logico, come nello Pseudo-Areopagita, in cui il concetto della divinità è formato solo da una serie di negazioni. I concettualismo metafisico non può, del resto, fare altro: per progressiva, necessaria eliminazione d'attributi e di termini,-provocata essa stessa dall'inesorabile critica del pensiero,-giunge inesorabilmente a polverizzare ogni concetto della divinità e financo a negare ad esso il << noùs » che per alcuni metafisici era forse l'unico residuo che si poteva attribuire al vecchio concetto di Dio.

Non è mio compito fare la critica del concettualismo metafisico in rapporto alla Divinità; io voglio soltanto far rilevare che, come all' inizio non c'è speculazione alcuna, e quindi nessun conato logico pel concetto di Dio, così nel seguito della sua evoluzione esso si è venuto elaborando a grado a grado nell'anima religiosa, attraverso lotte ed eresie, in maniera impersonale, al di fuori di ogni filosofia, e se questa è intervenuta, non ha fatto che depauperarlo, vuotandolo di ogni contenuto, ed estraniarlo dalla stessa coscienza religiosa che prima lo aveva infantato. L'errore iniziale di molti ierografi, dell' aver cioè confuso o creduto correlativi i due problemi, è nato da questo, che la religione è stata considerata in blocco come forma di conoscenza, inferiore conoscenza, se vuolsi, in rapporto ad altra forma di conoscenza che sarebbe quella scientifico-filosofica, ma sempre conoscenza; mentre in realtà la religione non è stata mai e non lo è neppure oggi nella coscienza moderna conoscenza del mondo; che se in ognuno dei grandi sistemi

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religiosi noi troviamo, accanto ad una liturgia, una prassi religiosa e un dominio dommatico, anche una sistemazione o visione del mondo, questa, oltre a non essere mai primitiva, rappresenta soltanto una parte ascitizia, caduca e contingente nel dominio della religiosità. Se Dio era già divenuto il supremo gerarca del mondo etico-religioso, non poteva mancare a lui l'attribúto cosmogonico, nè poteva la religione in genere disinteressarsi del mondo esteriore. Che l'infantamento della divinità abbia seguito questa linea, e che l'essenza intima della religione non sia affatto conoscenza, si può dimostrare con l'analisi di tutta la storia delle religioni; ma non insisto qui, accenno solo a qualche esempio. Qual'è la cosmologia di Gesù e del Cristianesimo primitivo? Lo stesso Sakiamuni non s'è rifiutato di rispondere alle domande metafisiche del discepolo Yainavalka, dicendo: << noi vedremo un giorno quelle cose insieme; per ora occupiamoci della liberazione » ?

Nessuna religione nasce come problema del mondo: è stata soltanto l'ignoranza del dominio etnografico - le religioni d'Australia, tanto interessanti, si conoscono, può dirsi solo dal 1902 - che ha potuto far deviare le ricerche in ipotetiche analisi psicologiche, di cui l'esempio più tipico forse è dato dal volume del Sabatier << Philosophie de la Religion ». Del resto, il concetto fondamentale, di cui espongo qui alcune conclusioni in via assiomatica, è stato visto in maniera inequivocabile anche dall' eminente Prof. Pettazzoni, nell' Introduzione al suo volume su Dio l'analisi del concetto di Dio, che non è nè semplice, nè unitario, come forse si può credere, può solo esser tentata attraverso la storia delle sue manifestazioni (teofanie) presso i vari popoli e i diversi cicli culturali che lo hanno lentamente elaborato: analisi storica dico, e non ontologica, in quanto che noi ci troviamo dinanzi ad uno pseudo-concetto che non ha nulla di concreto e di definito, essendo solo una somma di negazioni o di affermazioni che non può avere alcun valore obbiettivo dal punto di vista metafisico, ma che parla ancora come una realtà viva e vera all'anima del credente. Questa infatti non ha bisogno, anzi aborre da ogni costruzione od analisi metafisica; tanto è vero che se Dio» fosse stato un prodotto della speculazione, e non, come è, un'entificazione simbolica della coscienza collettiva, non avrebbe mai avuto importanza alcuna dal punto di vista religioso. Il Dio di Tommaso d'Aquino è tanto lontano da quello vivo e profondo di Gesù, quanto può essere l'Allah dell' ortodossia islamica dall'Allah di Hallagi,

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al - Husaini Kusciairi, e in genere del « Sufismo» persiano ed arabo. L'anima religiosa ha bisogno di una personalità divina » viva e reale, qualunque sia il concetto che di essa possa formarsi; anzi non c'è affatto bisogno che il puro pensiero si preoccupi di foggiarsi una qualche immagine o parvenza divina: è sempre il sentimento, e non il pensiero logico, che ha condotto e conduce a Dio: appena interviene l'« analisi» si rarefà e si disperde nell'assurdo o nel nulla.

Non posso occuparmi qui, in questo riassunto brevissimo, della storia degli attributi divini, dato che ognuno ha una storia ben lunga ed interessante nè dell'ultimo, il cosmogonico; affermo soltanto ch'esso ha o può avere un valore esclusivamente per l'anima religiosa, ma non certo dal punto di vista metafisico. « Dio» entificazione simbolica di origine ieratica ed etica, non ha niente che vedere con la cosmogonia. È vecchio argomento dei teologi vecchio e frusto nella storia della Filosofia, ma che si presenta sempre sotto novelle fronde, quello di considerare la Realtà come un totale finito, e meglio ancora quello di assumerla come razionale (il De Sarlo p. es. nel suo eccellente saggio I Diritti della metafisica ») senza ombra, si capisce, di dimostrazione. Ora, che la Realtà universa sia razionale non si può nè affermare nè negare, poichè di essa si può solo dire che è, mentre qualunque altro aggettivo, in ispecie quello << razionale» ha solo valore nell'ambito della psicologia umana, ma perde ogni significato attribuito al Cosmo. Razionale la Realtà in se stessa, nelle sue manifestazioni o nella sua totalità? Ai fini apparenti che il pensiero umano ha trovato o creduto di trovare nella Natura, si possono opporre altre manifestazioni ed altri fatti che distruggono ogni teleologia; e peggio ancora se si pensa alla totalità del Cosmo. Per assegnare ad essa l'attributo di razionale, dovremmo vederne dinanzi a noi il principio e il fine, cioè, in altri termini, considerare il reale come finito: ma è ciò possibile?

L'altra via di accesso al concetto di assoluto, (Dio) oltre quella del postulato della razionalità del Reale, è il credere di poter concepire l'essenza ultima del Cosmo sotto la forma spirituale, cioè sotto una, la più caratteristica, delle sue tanto complesse e varie manifestazioni.

Ma anche qui l'arbitrarietà della scelta (motivata, senza dubbio, dai soliti antecedenti psicologici) è troppo evidente: perchè di natura spirituale e non elettrica o magnetica p. es. ? L'ipostatizzazione o la trascrizione del problema cosmico sub specie humanae capitationis è stato sempre

lo scoglio della vecchia metafisica di origine religiosa; e per quanto oggi si tenti una riabilitazione delle vecchie formule, la critica non può certo abdicare a se stessa.

Il problema metafisico, cioè quello della natura della Realtà, è schiettamente scientifico: nè la Filosofia come pura speculazione a sè, fuori delle ricerche scientifiche-e meno ancora la religione-potranno dirci nulla che non sia o fittizio o addirittura assurdo.

Padronissima l'anima del credente di effingersi una cosmogonia di origine ebraica od indiana, e di inquadrare il mondo in alcune formule ingenue, appartenenti ad un ciclo culturale da noi lontanissimo, di cui la storia mitografica ci svela appunto l'origine e le trasformazioni; ma solo la scienza con le sue pazienti e difficili ricerche potrà dirci di ess realtà qualche cosa più sicura. Il problema teofanico dunque appartiene esclusivamente alla storia: da qualunque punto i credenti di tutte le religioni guardino le sue facce poliedriche, sono proprio questi punti di vista che formano oggetto di storia, in quanto giacciono in terreno umano, in società umana, e non extraumana, in umana psicologia. Fuori del terreno storico etnografico esso non ha alcun valore ed alcun significato. Il problema cosmogonico, invece, non ha niente che vedere con la mitografia: esso è una grande e difficile ricerca della scienza.

GIOSUÈ MALIANDI

Preside del R. Ginnasio di Tempio

Dio e il Cosmo

(Sunto)

Chiamo cattolicesimo cosmico una visione che dal cattolicesimo strettamente inteso non si differenzia se non per una più intima e profonda comprensione del senso di fraternità che avvince e guida verso un concorde destino non solo gli uomini e il mondo terreno, ma anche tutte le cose create nell' Universo. Tanto nella tradizione del pensiero greco, quanto nell'espressione religiosa semitica e cristiana dei primi secoli, manca, o per lo meno non riesce a trovare adeguata espressione, un senso di profondo affratellamento fra l'uomo e le creature. Tale

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