Εικόνες σελίδας
PDF
Ηλεκτρ. έκδοση

il ajoutait; << Nous sommes plutôt serviteurs que maîtres en Mathématiques », Il va sans dire que j'en ai de plus en plus profondément ressenti l'exactitude et la portée à mesure que se déroulaient pour moi les années de travail scientifique. Parmi tous ceux qui ont consacré leur vie à la recherche, quel est celui qui n'a point ressenti cette loi supérieure et inéluctable par laquelle la nature des choses impose impérieusement la voie à suivre, au point que les plus grandes découvertes sont si souvent nées, et si souvent sous des formes presque identiques dans des lieux différents et dans des cerveaux qui s'ignoraient! Cet appel de la vérité, de cette vérité qui est unique, comme a dit notre grand Anatole France, alors que l'erreur est multiple, est si pressant qu'il semble qu'on n'ait qu'à se laisser guider par lui, et cependant le fait est que l'homme demeure parfois bien longtemps sans l'entendre ou sans le comprendre.

Au moins, à partir de ce moment-là étais-je preparé d'avance à admettre le point de vue relativiste; en tout cas, j'étais d'avance disposé à recevoir assez mal ceux je vous jure que j'ai entendu cela il n'y pas longtemps encore d'hommes de Science connus - qui déclarent, non seulement ne pas croire à la relativité, ce qui serait leur droit, mais la trouver, chose insensée, « contraire au bon sens >> - c'est le terme exact que j'ai entendu et ne pas comprendre comment une imagination aussi

folle a pu être acceptée par des cerveaux sains. On a peine à conce

voir au contraire, un pareil état d'âme quand on songe, à l'heure actuelle, combien tout l'état antérieur de la Science de la Science mathématique elle-même - imposait cette solution, convergeait vers elle, nous poussait et nous aiguillait vers cette voie en dehors de laquelle nous nous obstinions à dérailler.

JACQUES HADAMARD
Membre de l'Institut (Paris

La teoria della relatività di fronte all'esperienza.

(Prove contrarie offerte dall'Astronomia).

Nella sua forma ristretta », la teoria della relatività è basata tutta quanta su due postulati, di contenuto strettamente sperimentale, che perciò al lume dell'esperienza sola vanno valutati e giudicati.

Questi sono:

1o) Il principio di relatività propriamente detto;

2°) Il principio della costanza della velocità della luce.

Il primo afferma l'impossibilità di svelare e di misurare per mezzo di qualunque « fatto fisico» il moto assoluto dei corpi, o più precisamente, il moto della materia rispetto all'etere.

Esso fu enunciato chiaramente per la prima volta da Einstein, il quale ebbe ed ha il merito grandissimo di avere intuito questa profonda esigenza dei fatti, attraverso le numerose esperienze negative, fatte col proposito di scoprire e misurare il moto della Terra, rispetto all'etere.

È merito grande di Einstein l'aver saputo vedere che la radice del dissidio fra teoria elettromagnètica (di Lorentz) ed esperienza, sorto appunto a proposito dell'influenza del moto sui fenomeni ottici ed elettrici consisteva in una vera antitesi fra il principio di relatività (già conosciuto in Meccanica) e la teoria; aver saputo vedere che la conciliazione poteva raggiungersi solo rimuovendo quest'antitesi, e cioè estendendo il principio di relatività » della Meccanica a tutta la Fisica; rendendo << relativistica» la Fisica; così come lo era la Meccanica.

[ocr errors]

Su questo punto nessun dubbio può rimanere; nessun disparere può dividere Scuola da Scuola, studioso da studioso. Finchè nuove esperienze (1) non verranno a persuaderci del contrario, le nostre costruzioni scientifiche debbono da ora in poi piegarsi, adattarsi alla « legge della relatività » rivelata dai fatti, ed enunciata da Einstein.

(1) Recentemente l'esperienza di Michelson è stata ripetuta all'Osservatorio di Monte Wilson (California) e - - si dice con esito positivo, benchè assai più piccolo di quello previsto dalla teoria. Ma le notizie finora conosciute non permettono un giudizio conclusivo in proposito.

Il disparere può sorgere, e sorge, intorno alla scelta della via che bisogna battere per raggiungere un tal fine.

La teoria di Einstein percorre una di queste vie; e cioè, è uno dei tanti schemi, una delle tante costruzioni teoriche nuove, di « tipo relativistico» che è possibile costruire. Questo debbono tenere ben presente tutti coloro che amano farsi una opinione chiara dei dibattiti della nostra scienza, e che non possono avere se non informazioni indirette; questo debbono sapere tutti coloro che attraverso la pura speculazione, giunalla conclusione «relativistica» prima che essi leghino il loro pensiero al carro trionfale della «< teoria della relatività << teoria della relatività » tracciata da Einstein.

gono

La via battuta da Einstein è questa: mantenere intatta la teoria (ossia le equazioni di Lorentz) e piegare il principio di relatività (quale era espresso della Meccanica) in modo da ridurlo sotto l'impero della teoria stessa. E per ottenere, ciò egli ha dovuto piegare, deformare la vecchia e gloriosa Meccanica - checchè si voglia dire in contrario invocandone la validità rimasta intatta per i moti lenti ha dovuto, rinnegarne, abbatterne i postulati fondamentali, deformarne perfino quei concetti primitivi di « tempo >> e di «< spazio che tanto hanno dato da pensare e da scrivere.

[ocr errors]

Ora, questo rivolgimento scaturisce, in modo diretto e necessario, da questa affermazione di Einstein (il suo 2° postulato) che la luce, emessa da una sorgente qualunque, viaggia sempre con la stessa velocità, quali che possano essere le condizioni di movimento (o più esattamente le velocità) della sorgente stessa, e dell'osservatore.

Affermazione di carattere e contenuto interamente sperimentale, e come tale, soggetta immancabilmente alla sanzione dell'esperienza.

Poco tempo dopo la comparsa della prima memoria di Einstein, un altro giovane e valente teorico, Walter Ritz, riuscì a tratteggiare un' altra << teoria generale dei fenomeni fisici » pure in piena armonia con il principio di relatività, battendo una via in perfetta antitesi con quella tenuta da Einstein: cioè, cercando di tenere intatta la Meccanica classica e di ritoccare e di adattare la teoria elettromagnetica in modo da condurla sotto il dominio del principio di relatività. Egli raggiunge un tale fine pure per mezzo di un postulato sulla velocità della luce, il quale è perfettamente contraddittorio con quello di Einstein, in quanto suppone che la luce che ci giunge da una sorgente in moto (rispetto a noi), viaggi con una velocità uguale alla somma (vettoriale) della velo

cità normale c della luce (emessa da una sorgente in quiete) e aella velocità v della sorgente.

L'uno e l'altro schema hanno indubbiamente pregi e difetti, vantaggi ed inconvenienti, vedute sintetiche geniali ed oscure lacune; sicchè la scelta fra i due richiederebbe un' analisi diligente, delicata e non facile.

Ma prima ancora di venire all'esame di questi due schemi particolari, occorre assolvere un compito più generale e di carattere « pregiudiziale » quello di saggiare la « verità fisica» dell'uno o dell'altro dei due postulati contraddittori, per orientare in modo sicuro la ricerca, per indirizzarla decisamente o sulla via percorsa da Einstein o su quella indicata da Ritz. Oppure eventualmente sopra una intermedia.

Fatto questo primo passo sotto la guida della esperienza, la sola che abbia diritto di decidere la scelta, il lavoro dei teorici potrà procedere sicuro nell'elaborazione dello schema che ci occorre; e si potrà allora o riprendere ed adattare l'uno o l'altro dei due già costruiti, o escogitarne ex novo uno o più altri, meglio rispondenti (1).

Pertanto fu presto avvertita la necessità della ricerca di un « fatto fisico » capace di fornirci l'elemento decisivo di prova, in favore dell'una o dell'altra ipotesi sulla velocità della luce.

Ora il solo campo di fatti, da cui la ricerca sperimentale poteva attingere il desiderato elemento di prova, era ed è quello dei fatti astronomici, per ragioni su cui qui non conviene insistere. Per questo, fin dal 1913, De Sitter, un astronomo olandese, credette di fornire questo elemento di giudizio, certo e definitivo, basandosi sulle osservazioni delle stelle doppie ».

Sono esse, coppie di stelle, vicine fra loro e vincolate da reci proca attrazione, in virtù della quale girano l'una attorno l'altra, secondo leggi analoghe a quelle scoperte da Keplero per il moto dei pianeti attorno al Sole.

Le conclusioni di De Sitter furono recisamente contrarie al postulato di Ritz o « principio balistico > come vien da noi fisici chiamato; e da allora in poi il moto delle « doppie » è stato addotto come la più forte prova in favore del 2° postulato della teoria di Einstein.

(1) È superfluo osservare che questi eventuali schemi saranno sempre « relativisti » se soddisferanno-come quelli di Einstein e di Ritz-al principio di relatività.

Un'analisi facile mi ha condotto, di recente, a riconoscere che la argomentazione di De Sitter nascondeva un errore e, riprendendo in esame le conseguenze a cui l'ipotesi di Ritz ci può condurre, quando venga applicata alle osservazioni del movimento delle « doppie », sono riuscito a prevedere tutto un campo importantissimo di fatti che trovano il più esatto riscontro nell'esperienza; fatti, noti da tempo agli astronomi, ma rimasti finora oscuri ed inspiegati.

[ocr errors]

Questo imprevisto e felicissimo accordo fra previsione teorica ed osservazioni, costituisce un elemento di prova in favore del « postulato balistico che supera di gran lunga il valore di qualsiasi esperienza ad hoc istituita, di qualsiasi sistema di osservazioni affannosamente (e non sempre serenamente) accumulate, per verificare previsioni che riguardano effetti incerti, o malfidi perchè dalla loro stessa piccolezza posti sulla soglia degli errori sperimentali inevitabili.

L'importanza del soggetto mi incoraggia ad esporre le linee essenziali della mia ricerca ed a ciò mi accingo, non senza chiedere anticipata venia per un'esposizione forse un pò pesante, e per qualche grave torto che dovrò fare alla chiarezza.

Ammettiamo, dunque, da qui in poi, l'esattezza dell' ipotesi balistica, ossia ammettiamo che la velocità con cui si propaga la luce emessa da una sorgente in moto (p. es. una stella) è quella che si ottiene sommando alla velocità normale c di propagazione (della luce proveniente da una sorgente ferma) la velocità v con cui la sorgente stessa si muove lungo la linea visuale (1).

[ocr errors]

Immaginiamo allora di rivolgere lo sguardo verso una doppia », costituita da un grosso astro centrale O, presso a poco immobile, e da un « compagno >> S, che gli giri intorno, nel verso della freccia, lungo un'orbita circolare, posta in un piano che contiene la « visuale » MO. (vedi fig. 1a).

Segniamoci in figura i punti C,D, A,B in cui la visuale stessa ed il diametro ad essa perpendicolare tagliano il circolo, ossia le quattro posizioni fondamentali che gli astronomi chiamano congiunzione (C), opposizione (D), quadrature (A,B).

(1) Quando la sorgente si muove in direzione qualunque la velocità che bisogna aggiungere alla cè solo la componente di v nella direzione della visuale.

« ΠροηγούμενηΣυνέχεια »